Aiutiamo le persone a concentrarsi su quello che fanno di buono.
Non limitiamoci solo a giudicare e demolire.
Spostiamo la loro (e la nostra) attenzione su pensieri di successo e troveremo sicuramente una miniera d’oro.
Paul Bryant, l’allenatore della squadra di football dell’università dell’Alabama, ha portato i suoi ragazzi a vincere più partite rispetto ad ogni altro coach nella storia del football universitario. La sua squadra ha vinto 323 incontri su 362, oltre a 16 campionati nazionali. Sotto la sua guida, gli Alabama Crimson Tides si sono classificati per i Bowl Games per ben 24 volte.
Questa storia ha un motivo ben preciso: il coach aveva un segreto che era alla base del suo successo e sul quale bisognerebbe riflettere, cercando di imitarlo per migliorare la qualità della nostra organizzazione, diventando fonte di ispirazione.
Quando mostrava ai suoi atleti le riprese della partita appena disputata, si focalizzava solo sulle loro azioni migliori.
Bryant non si soffermava mai sugli errori e come risultato, i Crimson Tides continuavano a vincere. Qual è la lezione?
Bryant aveva capito che amplifichiamo qualunque cosa su cui poniamo l’attenzione. Sicuramente possiamo imparare dai nostri errori, ma il modo più potente per raggiungere un obiettivo sta nel concentrarsi sul risultato.
Adesso, immaginando di poter “avvolgere il nastro” delle nostre giornate lavorative, rivediamo cosa accade nella quotidianità.
Quanto tempo ed energia sprechiamo per pensare o discutere di ciò che non vogliamo, che non funziona o che va storto? Troppo.
Quanto tempo, di converso, spendiamo per progettare, parlare di quello che desideriamo e di ciò che funziona? Poco.
E se vi dicessi che la nostra vita professionale e le relazioni con i preziosi collaboratori cambierebbe se dedicassimo più tempo ed energia sui risultati desiderati? Provare per credere.
Quando concentriamo la nostra forza per far capire agli assistenti dove sbagliano o cosa avrebbero dovuto evitare di fare, seminiamo demotivazione o peggio ancora, depressione.
Il risultato sarà la reiterazione degli errori in un clima di risentimento.
Questo modus operandi non aiuta nessuno.
Provate a dire a un bambino di 3 anni che sta iniziando a muovere i primi passi: “Attento, non andare lì che scivoli”; “Attenzione, cadi” e, dopo qualche secondo, “patapunfete”.
In pratica, il bambino che prima del vostro improvvido avvertimento non considerava la possibilità di cadere, ascoltandovi ha programmato inconsciamente la caduta.
I collaboratori sono simili e agiscono allo stesso modo.
Se chiedeste loro di percorrere una trave di legno larga 10 centimetri e posta a 20 centimetri da terra, lo farebbero in pochi secondi senza alcun problema; se la stessa trave venisse riposta tra 2 palazzi alti 4 piani, cadrebbero giù.
La ragione è semplice: nel 2° caso si concentrerebbero sulla possibilità di cadere, e ancora una volta, “patapunfete”.
Annodando le fila del discorso, ricordiamoci di guardare agli errori soltanto il tempo sufficiente per riconoscerli, focalizzandoci invece su ciò che vogliamo veramente. Di seguito, la nostra attenzione dovrà tendere al risultato.
L’inconscio è la sorgente di tutto ciò che manifestiamo nel mondo esteriore.
Le immagini mentali che nutriamo (e le emozioni) che le accompagnano, danno forma ad una matrice energetica che funziona come un magnete e queste energie interiori si trasformano nelle circostanze in cui ci imbattiamo quotidianamente.
In ogni momento possiamo solo scegliere se reagire o creare: aiutiamo gli altri ad andare in alto.
Non lasciamoli cadere. I “patapunfete” fanno male.